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Giorgio Punzo

VIVARA APPROFONDIMENTI

Il vecchio guardiano del verde isolotto


Titolava così anni fa un articolo apparso su un noto quotidiano e riferito a un vecchio professore che si era preso cura di un isolotto, l'isolotto di Vivara...il professore era


Giorgio Punzo

Il professore Punzo, come tutti lo conoscevano, ci ha lasciato dopo aver trascorso una vita intera a trasmettere ai suoi allievi, e in generale a tutti coloro che lo frequentavano, l'amore per la natura, per il mare, per gli uccelli, per la cultura, per l'arte... in definitiva per tutte le cose belle che offre la vita, chiunque sia stato in contatto con lui non poteva non uscirne più ricco.





Il professore Punzo (1911 - 2005)
durante la cerimonia di consegna del
Premio Mediterraneo il 27 aprile 1991

Naturalista e filosofo era nato a Napoli nel 1911, nel 1965 fondò la LENACDU (Lega Nazionale Contro la Distruzione degli Uccelli) poi divenuta la LIPU che oggi conta circa 35000 soci in tutta Italia, il suo nome è legato a Vivara in quanto dal 1977 al 1993 vi ha soggiornato con la sua associazione l"Unione Trifoglio" vivificando l'isola con attività educative rivolte ai ragazzi e al tempo stesso tutelandola con una presenza costante che gli valse nel 1991 il "Premio Mediterraneo" una sorta di oscar per la difesa dell'ambiente.

Per perfezionare e pubblicare la sua opera filosofica ha trascorso gli ultimi anni nella provincia di Avellino.




Pubblichiamo un'ampia biografia del prof. Giorgio Punzo
a cura del prof. Luigi Miraglia





Il primo marzo 2005 è scomparso Giorgio Punzo. Straordinaria figura di studioso e d'educatore, "personalità unica e irripetibile"[1], punto di riferimento per tutti coloro che hanno amato le bellezze naturalistiche dell'isolotto di Vivara, nel golfo di Napoli, egli non è stato solo un ornitologo e un pioniere del protezionismo italiano, ma è riuscito a unire nella sua persona le caratteristiche del synoptikòs anèr così come tratteggiato dalla tradizione greca e dall'ideale formativo platonico. Per capire più a fondo la complessità della figura non sarà inutile ripercorrere le tappe del suo percorso di vita dalle prime esperienze di studio all'impegno su campo e alle battaglie per la difesa degli uccelli fino al romitaggio sull'isola di Vivara e agli ultimi anni impegnati nel riordino e nella pubblicazione dei suoi scritti vertenti sugli argomenti più vari, specchio d'una poliedrica e versatile personalità culturale.  
           Nasceva Giorgio Punzo il 29 maggio del 1911 a Napoli da "una famiglia molto agiata"[2]; è assai probabile che il primo amore per le bellezze naturali si sia in lui originato nel magnifico giardino della villa fatta costruire dal nonno sulle coste di Posillipo nell'ultimo ventennio dell'800; giardino che lui stesso così avrebbe descritto in un suo diario molti anni dopo: "...questo mio giardino è un incanto; l'aria è luminosissima, il mare di un azzurro meraviglioso; [...] ho passeggiato in questo mio splendido terrazzo sul mare. Il canto degli uccelli mi ha seguito con commozione durante tutta la giornata: al mattino mi ha svegliato il mio passero solitario; i merli, le capinere, le cince sono in festa: capire la verità di cui parlano al sole è un immergersi nella luce."[3]
           I primi approcci allo studio furono guidati, com'era allora usanza, da precettori privati fra il 1916 e il 1919; dal '19 al '23 frequentò un prestigioso istituto napoletano; poi di nuovo studiò privatamente per l'esame di terza ginnasiale sostenuto nell'anno scolastico 1923-24. Già da allora mostrava una spiccata sensibilità per le materie letterarie; ancor più di quanto non fosse in uso ai suoi tempi amava mandare a memoria i capolavori della poesia italiana; e stupì la commissione esaminatrice per il numero enorme di versi dell'Iliade del Monti che aveva appreso con la passione di chi, sin da bambino, non studiava solo per la scuola.
           Nel 1924 fu iscritto dai genitori a frequentare la quarta ginnasiale presso l'istituto Pontano, amministrato, allora come oggi, dalla Compagnia di Gesù. Nei due anni dal '24 al '26, l'esperienza di vita a contatto con uomini di profonda cultura che coniugavano la loro dottrina con una vita religiosa fu per lui fulminante: gli parve di potere, nell'ordine dei gesuiti, realizzare quella fusione d'un'aspirazione all'Assoluto che sentiva in sé prepotente con il desiderio di conoscenza senza confini, senz'artificiali barriere e compartimenti stagni, in uno slancio d'Amore verso il bello e l'armonia in qualunque forma essi si presentassero al suo animo adolescente. Dopo un profondo travaglio spirituale chiese e ottenne una dispensa per entrare come novizio nella Compagnia prima del compimento del quindicesimo anno d'età. Il 12 aprile 1926 cominciò il suo percorso, scandito dalle regole della ratio studiorum.
           Dal 1926 al 1930 frequentò così lo studentato in lettere classiche presso la splendida Villa Melecrinis, che sorgeva sulla collina del Vomero in un ambiente ancora naturalisticamente intatto; i sordidi interessi di palazzinari e speculatori raderanno al suolo negli anni del dopoguerra quello come altri cento paradisi napoletani. In questo scenario magnifico, in cui aveva ancora occasione di dare sfogo alle sue osservazioni naturalistiche, e particolarmente di analizzare il comportamento degli uccelli, studiò intensamente la letteratura italiana, il latino, che imparò non solo a comprendere correntemente e senz'angosce, ma anche a scrivere, in prosa e in versi, e a parlare come una seconda lingua materna; il greco, la storia. Furono questi gli anni di ampie e distese letture di classici, di feconde discussioni con i compagni di noviziato, di nuove scoperte di orizzonti dello spirito.
           Nel settembre del 1930 i superiori, visti gli eccellenti risultati conseguiti negli studi letterari, inviarono il giovane Punzo in Piemonte, a Chieri, perché attendesse ai corsi di filosofia scolastica e scienze matematiche, fisiche, chimiche e naturali. Non ancora ventenne, egli si gettò a tutt'uomo in questi studi; e ottantenne ricordava quegli anni come i più fruttuosi della vita: libero da ogni impegno pratico, la sua dedizione all'otium non sine litteris era pressoché totale; le dispute filosofiche in latino lo appassionavano, a volte anche troppo, se è vero, com'è vero, che più volte i superiori lo invitarono a non farsi trascinare dall'impeto del suo fervore intellettuale e ad affrontare le quaestiones e le disputationes con maggiore distacco; l'impegno che profondeva negli studi scientifici pareva ai suoi stessi insegnanti, sempre preoccupati più di formare un buon prete che non uno scienziato e un naturalista, sproporzionato rispetto all'applicazione che mostrava nello studio della Summa di S. Tommaso, che pure conosceva assai bene. Comunque sia, nel luglio del 1933 conseguì la laurea in filosofia scolastica, con una tesi sulla morale in Kant alla luce della dottrina tomistica: tesi che dovette scriver due volte, perché il latino in cui l'aveva di getto redatta in un primo momento sembrò ai suoi docenti troppo letterariamente classicheggiante per le abitudini del loro istituto, e in genere della tradizione filosofica scolastica.  
           Nel 1933 il giovane Punzo viene rimandato in Campania, dove soggiorna ancora due anni alla Villa Melecrinis; lì gli viene affidato l'incarico di docente di lingua e letteratura italiana e latina, che insegnerà con passione e dedizione ai ragazzi della Casa gesuitica. Nel frattempo però, sorgeva un problema. L'inclinazione assai spiccata verso le osservazioni naturalistiche, l'impegno profuso nello studio delle discipline scientifiche a Chieri, la persistente passione per la zoologia e la botanica che lo contraddistinguevano non potevano rimanere senza sbocco; egli dunque chiese licenza ai superiori per poter conseguire la laurea in Scienze Naturali presso l'università statale di Napoli. La licenza gli fu concessa; ma il Punzo, che fino ad allora aveva percorso le tappe del suo curriculum formativo presso scuole e istituti universitari ecclesiastici, non possedeva ancora una licenza liceale valida per lo Stato italiano. Fu così che, nel luglio del 1934, egli dovette presentarsi all'esame di licenza liceale da privatista presso il liceo "Garibaldi" di Napoli. Superato brillantemente l'esame, poté iscriversi ai corsi di Scienze Naturali; nel frattempo era stato trasferito dai suoi superiori a Castello Giusso, magnifica dimora sul mare di Vico Equense, dove continuava a esercitare la sua funzione docente di materie letterarie e latino. Le sue giornate si dividevano tra l'insegnamento, gli studi umanistici e filosofici, quelli scientifici di preparazione agli esami universitari e le osservazioni naturalistiche, da un lato, degli uccelli della costiera sorrentina, dall'altro, dei delfini che ancora popolavano il golfo di Napoli. Ottenne che l'ordine acquistasse per lui un potente cannocchiale, con cui gli era possibile seguire i movimenti dei branchi di cetacei nel golfo; movimenti che annotava diligentemente sui suoi quaderni d'appunti, ricchi d'interessantissime considerazioni etologiche.
           Nel 1938 il Punzo si laureò a pieni voti e con lode in Scienze Naturali, con una tesi in erpetologia sul sistema nervoso dei serpenti; nel frattempo, già dal 1937 s'era di nuovo spostato a Napoli, presso la Villa S. Luigi di Posillipo, dove attendeva agli studi teologici. Dal 1937 al 1939 frequentò i corsi di teologia dogmatica e di morale, che allora venivano ancora impartiti in latino; ma cominciò per lui un periodo di crisi vocazionale, proprio perché non gli sembrava di poter accettare appieno molte delle impostazioni filosofico-teologiche che apprendeva; esse gli parevano più degne d'un corso di storia della filosofia medievale, che d'una moderna ricerca filosofica della verità intesa come zétesis continua e tensione perpetua. Fu forse proprio il contrasto stridente fra i contemporanei studi scientifici, allora fortemente basati su di un'impostazione positivista e darwinista, e il dogmatismo della scolastica che produssero in lui una dilacerazione sanguinante. Il Punzo era un uomo di princìpi morali alti e di coscienza assai severa; a nulla valsero i consigli fraudolenti di chi gli consigliava d'esser meno rigido, e di guardare ai vantaggi d'una vita tranquilla di studi e ricerche; di chi gli prospettava come, da ecclesiastico, sarebbe sfuggito al pericolo del servizio militare in un momento in cui si cominciavano a sentire i primi venti di guerra, che per l'Italia sarebbe cominciata il 10 giugno del 1940: ormai si trattava di decidere; o si doveva scegliere l'ordinazione sacerdotale, chiudendo nel carcere del cuore i dubbi e le incertezze, o si doveva intraprendere un'altra strada, e ricominciare daccapo una nuova vita. Consigliatosi col suo direttore spirituale, decise infine di lasciare l'ordine, e di diventare piuttosto un uomo buono e onesto che un cattivo sacerdote.
           Incipit vita nova. Il Punzo divenne assistente volontario di anatomia comparata all'università di Napoli; l'Istituto era allora una fucina di naturalisti che in séguito avrebbero fatto parlare di sé: con lui lavoravano Guido Moncharmont, che formerà generazioni di studenti: con lui il Punzo stringerà un'amicizia che durerà senza scosse per tutta intera la vita. C'era anche Isabella Lattes Coifmann, una donna eccezionale recentemente scomparsa, ch'ebbe col Punzo un rapporto di sincera, schietta e fresca amicizia, anch'esso assai duraturo: con lei, che in quegli anni doveva scrivere articoli sulla rivista "Sapere" usando uno pseudonimo e non poteva più svolgere il suo lavoro all'università in maniera ufficiale, il Punzo poteva non solo affrontare tematiche naturalistiche, ma, sottovoce, poteva anche commentare le follie del regime fascista, l'obbrobrio delle leggi razziali e la pazza e sciagurata alleanza col terzo Reich.
           Nel 1940 vinse i concorsi per assistente di ruolo di anatomia comparata e d'insegnante di ruolo di Scienze Naturali nei licei; fu a lungo dubbioso sulla strada da intraprendere: amava la ricerca, ma altrettanto forte era in lui l'ideale pedagogico, avvertito quasi come missione. Scelse infine l'università, dove svolse il suo lavoro fino al luglio del 1941. Poi fu anch'egli richiamato a prestare il servizio militare.
           La sua indole rifuggiva dalla guerra, non per viltà o codardìa, ma per un intimo senso morale che gliene faceva avvertire tutta l'assurdità, la brutalità, la ferocia animalesca e contraria alla ragione: l'umanità, diceva, non sarà mai degna di questo nome finché esisteranno le guerre: la guerra è l'espressione della belva umana, non dell'uomo. Oggi queste posizioni ci sembrano evidenti e normali. Ma allora il Punzo doveva stare attento a parlare in questi termini: la follia e l'esaltazione era collettiva: e ben pochi erano coloro che vi si opponevano.
           Fu inviato a militare nella contraerei in Lombardia; ma con un coraggioso discorso ai suoi superiori rifiutò di sedere alle macchine seminatrici di morte. Trovò persone che sbraitarono, urlarono, minacciarono, ma poi lo destinarono a lavori di campo. Eppure ancora nella vecchiaia, quando non poteva trattenere lacrime angosciate di disperazione di fronte alle notizie della violenza esplosa ovunque in oriente e occidente in una nuova ondata di sangue versato in nome d'un presunto scontro di civiltà, ricordava con orrore i corpi di ragazzi nel fiore degli anni da lui estratti dalle lamiere degli aerei abbattuti e portati a cristiana sepoltura: gli venivano allora in mente, e si confondevano coi ricordi personali, le immagini strazianti d'una pellicola a lui, generalmente estraneo alla passione cinematografica, assai cara: L'arpa birmana di Kon Ichicawa; e ripeteva col monaco Mizushima: "Perché tanta distruzione è caduta sul mondo?"
           Un incidente in motocicletta nel 1943 gli provocò la lussazione della clavicola: era il mese d'agosto; più volte negli anni successivi il Punzo riandava col ricordo a quell'incidente; gli era sempre sembrato uno degl'interventi del Caso nella sua vita che a una vista miope potevano sembrar disgrazie, e a chi volgeva lo sguardo a più ampi orizzonti si rivelavano benedizioni del Cielo. Il Caso, diceva il Punzo a una voce con Anatole France, è lo pseudonimo che usa Dio quando non vuol farsi riconoscere. Grazie a quella caduta dalla moto, il Punzo fu mandato a casa in convalescenza; la riduzione della clavicola sembrava non esser riuscita bene; furono necessari mesi di riabilitazione, durante i quali egli fu lasciato a Napoli; nel frattempo l'8 settembre veniva annunziato l'armistizio; quasi tutti i suoi commilitoni furono vittime dei primi rastrellamenti tedeschi nell'Italia settentrionale: e molti di loro finirono miseramente la vita fucilati o nei campi di concentramento.
           Quasi subito anche a Napoli i tedeschi avviavano azioni di rappresaglia: i più esposti erano proprio i giovani, che venivano arrestati e deportati. Chiunque s'opponeva o cercava di sottrarsi veniva fucilato sul posto "senz'indugio", come si leggeva nel manifesto del 26 settembre emanato dal comandante Scholl. Il Punzo si trovava allora, ancora convalescente, alla villa di famiglia a Posillipo; si discusse ansiosamente sul da farsi: le notizie non erano per nulla confortanti; ma gli alleati avevano già occupato Capri. Nel cuore della notte Giorgio Punzo e i due fratelli Massimo e Adriano salirono su una barca nella rada della villa, e a remi, alternandosi con un barcaiolo, raggiunsero all'alba l'isola di Tiberio. Lì la guerra sembrava già finita definitivamente, e l'aria era di festa gioiosa, tanto diversa dalla tetra atmosfera di battaglia, sangue e morte che ancora si respirava a Napoli. Nei quattro giorni successivi i napoletani sarebbero insorti e avrebbero avuto la meglio sui tedeschi; quando, ai primi d'ottobre, gli alleati entrarono in città, non trovarono più neanche un nemico.
           Il Punzo riprese il suo posto come assistente d'anatomia comparata all'Università di Napoli; ma nel 1945, dopo la fine della guerra mondiale, e dopo essersi profuso, anche attraverso un impegno civile e lato sensu politico, per la ricostruzione materiale e morale dell'Italia, egli sentì l'esigenza di un periodo di ritiro di studi, di riflessione, di concentrazione: fu così che, con una decisione che stupì tutti, lasciò la carriera universitaria pur così bene avviata; s'iscrisse alla facoltà di filosofia; visse immerso nelle sue meditazioni, negli studi filosofici, nell'esplorazione del nuovo campo della psicologia e dell'analisi dei complessi fenomeni che sono alla base dell'amore umano. Questo periodo durò per ben dodici anni, dal 1945 al 1957, interrotto soltanto, nell'anno scolastico 1948-49, da una breve parentesi d'insegnamento di materie scientifiche al liceo "Garibaldi" di Napoli, lo stesso presso il quale aveva conseguito la licenza liceale molti anni prima, e alcune collaborazioni coi barnabiti dell'Istituto "Bianchi" e "Denza" negli anni successivi. Nel 1949, intanto, conseguiva a pieni voti la laurea in filosofia, con una tesi sulla morale nelle epistole di San Paolo.
           Sono anni per il Punzo assai intensi, di esperienze intellettuali e spirituali assai profonde, culminanti nell'anno 1956, in quell'anno dal gelido inverno che scese su tutta l'Italia. Dibattiti fecondi si svilupparono in quegli anni nella cerchia dei suoi più stretti amici, in un fermento d'idee che sfociò nella pubblicazione di varie opere: i Primi saggi sono del 1944-1955; le Lettere del 1957; i Prolegomeni del 1961; i Primi Dialoghi del 1964. In questi anni il Punzo, oltre a discutere e meditare su temi assai vari e complessi nella cerchia dei suoi più stretti amici, intrattenne amichevoli rapporti con eminentissime personalità della cultura italiana: fu in contatto con Franco Granone ed Emilio Servadio per i suoi studi di psicologia ed erotologia; con Carlo Del Grande e Salvatore Quasimodo per le sue ricerche sul mondo antico e sulla letteratura greca; con Paolo Filiasi Carcano ed Emanuele Riverso per i suoi interessi filosofici; con Vittorio Ugo Capone e Giorgio Petrocchi per le sue ricerche su Dante; con Alessandro Ghigi e i fratelli Dohrn per le attività naturalistiche e le prime iniziative protezionistiche; e con cento altri che qui sarebbe lungo nominare.
           Nel 1965, sdegnato per le stragi degli uccelli che ogni anno si perpetravano in Italia, fonda la Lega Nazionale Contro la Distruzione degli Uccelli (LENACDU), che nel 1974 diventerà la LIPU; l'associazione, che oggi conta più di trentamila iscritti, fu ufficialmente fondata con un documento redatto il 13 novembre nel giardino zoologico di Roma, dove il Punzo aveva raccolto i primi che avevano aderito alla sua iniziativa: tra gli altri erano presenti Paolo Bertagnolo, Michele e Marta Camperchioli, Vittorio Menassé, Fulco Pratesi e proprio il già anziano professor Ghigi, che portò le schede di adesione di moltissimi difensori della natura i cui nomi egli aveva avuto modo di raccogliere nei molti anni della sua attività di zoologo e difensore della vita animale.
           La maniera con cui la Lega era stata fondata fu davvero singolare: il Punzo, infatti, pubblicò su alcuni quotidiani e rotocalchi a larga diffusione nazionale l'annuncio della nascita del movimento per la difesa degli uccelli, e fornì gl'indirizzi delle sedi: due sedi a Napoli (le due entrate del suo palazzo a Mergellina!); una sede a Milano (dove abitava una sua cugina!); una sede a Torino (a casa di suo fratello!), e così via. Quando arrivavano le prime adesioni, egli non perdeva tempo: telefonava immediatamente per un appuntamento, poi si metteva in treno e partiva. Prendeva contatto con la persona che aveva scritto, e scopriva le carte: "Senta, la Lega in realtà non esiste ancora; vuole esser Lei il rappresentante per la Sua città?" La simpatia che la trovata tutta napoletana ispirava, la fiducia che poteva accordarsi a un uomo colto e gentile come il Punzo fecero il resto. Ben presto la Lega suscitò l'interesse d'istituzioni britanniche con sede a Firenze, in particolare l'Anglo-Italian Society for the protection of animals; il movimento protezionistico creato dal Punzo poté così avere non solo un notevole appoggio, ma anche una prestigiosa sede al Lungarno Guicciardini.
           Il Punzo divenne ben presto l'ossessione dei cacciatori italiani; la rivista "Diana" lo nominava come il nemico numero uno quasi in ogni numero; egli aveva a sua volta fondato la rivista Pro avibus, in cui rispondeva punto per punto agli attacchi delle associazioni venatorie, e conduceva la sua battaglia attraverso tutti i mezzi di stampa, la neonata televisione e la radio. La lotta della Lega non tardò ad arrivare in Parlamento, e importantissime furono le conquiste di quegli anni: l'abolizione della caccia al capanno, con le reti e con richiamo; il riconoscimento dei diritti dei non-cacciatori a fruire delle bellezze della natura; la sensibilizzazione del popolo italiano ai temi della protezione dell'ambiente. Nel 1969 la LENACDU conta ancora solo tremila membri; ma grazie anche alla tenacia del Punzo, riesce a raccogliere ottocentomila lettere di protesta contro le stragi degli uccelli.  
           Nel 1966 era nata la sezione italiana del World Wildlife Fund (WWF), di cui il Punzo fu uno dei primi soci; nel 1970 nasce, per impulso del Punzo, il Centro Meridionale pro natura vivente, con sede a Napoli. Nel 1975 ha origine l'Unione Trifoglio, che si propone soprattutto uno scopo educativo dei giovani all'amore della Natura in tutte le forme in cui in essa si dispiega l'armonia universale.  
           Proprio in quegli anni la Regione Campania comincia a manifestare un interesse per l'isola di Vivara: i rappresentanti del WWF campano, Lello Capaldo e Giovanni Lubrano Di Ricco, avevano appena sventato un tentativo di speculazione edilizia da parte della società VACAMAR per la costruzione sull'isola d'un villaggio turistico di lusso, con circa mille villini e tanto d'eliporto e ascensore. Urgeva un intervento pubblico per salvaguardare quel magnifico lembo di terra ancora intatto nel bel mezzo del golfo di Napoli; per tutelare la macchia mediterranea; per difendere la fauna selvatica, e particolarmente gli uccelli di stanza e di passo. L'assessore all'agricoltura e foreste della Regione riesce a concludere con l'ospedale "Albano-Francescano", che è il proprietario dell'isola, un accordo di fitto. Il Punzo viene chiamato, in qualità di ornitologo e di protezionista, a far parte della commissione per il da farsi a Vivara; si decide d'impiantare sull'isolotto un centro d'osservazioni naturalistiche, in particolare una specola ornitologica e una stazione d'inanellamento in accordo con l'Istituto di Biologia della Selvaggina di Bologna; la gestione del centro viene affidata al Punzo, che contemporaneamente chiede che possano anche avviarsi attività di tipo educativo coi giovani delle scuole campane e d'altre regioni, e coi membri delle associazioni protezionistiche. Il permesso è accordato: si parla, con brutto termine, di "propaganda forestale"; il Punzo trasformerà sempre quest'orrenda espressione in "educazione naturalistica". Egli conosceva bene Procida, perché nel frattempo, dopo le tante scuole in cui, sin dal 1957, aveva insegnato[4], era letteralmente lì approdato sin dall'anno scolastico 1970-71, e vi sarebbe rimasto fino al collocamento a riposo, avvenuto nel 1976. Fu proprio con le affezionatissime alunne dell'Istituto magistrale di Procida che egli organizzò le prime attività del "Trifoglio" sull'isola; e alcune di esse lo accompagneranno e sosterranno con commosso affetto fino ai suoi ultimi giorni di vita, e ancora oggi si battono perché gl'immensi sacrifici da lui affrontati per il suo sogno non siano stati del tutto vani.
           Nel settembre del 1977, mentre il Punzo si trovava a Vivara con un gruppo di giovani studenti per le ricerche ornitologiche e le sistemazioni della Casa colonica, della Casa padronale e dei sentieri, improvvisamente morì il guardiano avventizio dell'isola, Antonio Ambrosino. La costernazione fu grande: non solo per la perdita d'un uomo gentile e disponibile che aveva sempre accolto il Punzo e i ragazzi con grande senso d'ospitalità; ma anche perché si capiva bene che la Regione non avrebbe tanto facilmente sostituito quella figura un po' di guardiano, un po' di colono ch'egli rappresentava, assunta e licenziata ogni mese proprio per evitare le difficoltà della creazione d'un posto fisso in organico. Che fare? I sacrifici, in termini di tempo, di spese, d'impegno erano già stati tanti: lasciar tutto in balìa dei vandali che avrebbero ben presto tutto distrutto? Permettere ai bracconieri di scorrazzare liberi sull'isola? Questo il Punzo non poteva consentirlo. Dopo un breve contatto coi responsabili della Regione e del Servizio Foreste, la decisione fu presa: egli si sarebbe trasferito sull'isolotto fino alla soluzione del problema. Per anni il Punzo invocò l'assunzione di qualche guardiano stipendiato: ma sempre senza esito. Nel frattempo dava fondo a tutti i suoi averi, e persino vendeva la sua abitazione napoletana a Via Aniello Falcone per far fronte alle necessità di gestione del parco, per promuovere iniziative volte all'educazione dei giovani, per i quali creò anche un "Centro ippico-ginnico-musicale" sul territorio procidano. L'amministrazione regionale appariva distratta, svogliata, disinteressata; e quella che doveva essere una situazione d'estrema provvisorietà divenne una condizione stabile per sedici anni interi, dal settembre 1977 al giugno 1993. In tutti quegli anni il Punzo, a cui pure con delibera regionale erano stati concessi alcuni locali della Casa Padronale e della cosiddetta "Casa del Caporale" all'ingresso dell'isola come sede ufficiale dell'Unione da lui presieduta, ed era stato riconosciuto un ruolo ufficiale nella tutela e nella gestione dell'oasi, gl'insignificanti contributi furono lesinati, centellinati, distillati in maniera tale che giungevano sempre a colmare una parte minima dei debiti che si contraevano; intanto tutto il patrimonio familiare del Punzo, l'intera sua pensione ogni mese, gl'immobili che possedeva andavano in fumo. Ma naturalmente non potevano bastare per una gestione del tutto efficace del territorio; e alcuni franchi tiratori, invece di sostenerlo e d'aiutarlo presso le istituzioni, affermavano che proprio la sua presenza impediva di avviare "un progetto serio" per Vivara. Il Punzo s'amareggiava e soffriva assai per queste incomprensioni; in seguito a tali profonde lacerazioni fu anche ghermito da un cancro maligno all'intestino, che lo stava portando alla morte, alla quale lo strappò, quando già c'era stata completa occlusione intestinale, la bravura del primario di chirurgia dell'ospedale "Monaldi" di Napoli, il prof. De Vincentiis.
Per sedici anni il Punzo e i ragazzi da lui coordinati vissero sull'isola di Vivara giorno e notte, garantendo una costante presenza tutelatrice, che, pur nelle estreme ristrettezze economiche, fu di gran giovamento al territorio, impedendo tutti quegli abusi e quegl'ignobili vandalismi che si sono verificati una volta ch'essa è venuta a mancare. Anche il bracconaggio sull'isola, ch'era abitudine ormai consolidata e radicata da anni, s'era tanto ridotto da esser quasi totalmente scomparso; e questo senza ricorrere alle azioni legali, che per il Punzo erano l'extrema ratio, ma attraverso il dialogo, il confronto, spesso lo scontro animato e veemente coi cacciatori; egli s'esponeva in prima persona, all'età di ottant'anni buoni, e affrontava a viso aperto i cacciatori che imbracciavano le loro doppiette; strappava loro le munizioni e li cacciava via in malo modo se si presentavano armati, o se li sorprendeva appostati all'alba; ma li accoglieva con bonario sorriso e con ospitale gentilezza se venivano solo in visita per una passeggiata: allora li invitava ad entrare, offriva loro una tazza di caffè e parlava delle bellezze naturalistiche, dello splendore del canto degli uccelli e del loro volo; rivelava segreti del loro comportamento e li affascinava col suo affabulare accattivante. Li convinceva che al fondo della passione per la caccia c'era in realtà un amore per la natura: e che questo amore poteva esser coltivato anche senza ammazzare le creature belle dell'aria o i poveri conigli di Vivara. Non uno solo si convertiva: e ancora oggi a Procida c'è chi è passato dal fucile alla macchina fotografica grazie al Punzo; ma se li scopriva impenitenti andava su tutte le furie, e li chiamava traditori, fedifraghi, ingannatori; smoveva cielo e terra gridando la sua indignazione: e i procidani, che generalmente sono buone persone sensibili ai valori umani, si vergognavano, arrossivano, e in quella veste non tornavano più.
           Per i giovani il Punzo ha dato tutto quello che aveva: era il suo vero sogno quello d'educarli alla giustizia, all'amore della Bellezza, alla ricerca della Verità: questo scriveva in una pagina del suo diario: «La bellezza è diffusa nell'aria, nella luce, nel mare, e, come Bellezza che suscita l'Amore, mi si presenta come in dono nelle strade, e anche nei luoghi rovinati da molta falsità. Quanta vita è repressa e distrutta nelle nostre scuole! In una giornata come questa i nostri ragazzi vanno a penare in un'aula, sottoposti a un asfissiante sistema di controllo. Penso sempre al mio sogno: una scuola che sia la primavera della vita; in cui i ragazzi, liberi da registri, esami e controlli, apprendano vivendo, amando e gioiendo: ma... quanto siamo lontani da questo sogno! Io non posso prescindere nella mia vita dal perseguire l'attuazione di questo sogno: ma purtroppo vedo che non è facile indovinare dove cominciare a mettere le mani, tanto è corrotta ogni cosa intorno a noi da una struttura giuridica e burocratica. C'è chi dubita della "corruzione dell'umana natura", eppure basterebbe guardare questi ceppi in cui l'uomo s'è legato, questo aver fatto assurgere la falsità a moralità, per rendersi conto di quella verità "rivelata". Il ragazzo ancora non è corrotto, ma viene a forza introdotto nella macchina mortale, e dopo pochi anni ne esce trasformato in una rotella di essa. Ma a qualcuno di loro si potrà parlare: salvarne qualcuno mi sembra già molto; prenderà il largo sul mare; sarà libero; e dalla libertà del mare spero che gli si farà luce sul carcere dell'umana ipocrisia.»[5]
           Questa scuola della natura libera, dell'"essere in sé" non ancora schiavizzato a nessun "per" calcolatore fu il suo ideale; e lo perseguì realmente a Vivara, con l'istituzione del centro educativo naturalistico, le collezioni di conchiglie nella cui raccolta fu aiutato dal gruppo malacologico campano, gli acquari, le bacheche con le raccolte d'insetti e farfalle, i cartelloni illustrativi; la vita all'aria aperta, l'istituzione di percorsi hebertiani e di attività scoutistiche; la pratica dell'equitazione boschiva e l'amorevole cura degli animali; l'osservazione degli uccelli, la fotografia, la filmistica; la ginnastica e il pionerismo; e tutto condito da fecondissime discussioni sugli argomenti più vari e disparati, condotte sempre con socratica ironia e immensa capacità d'avvincere i giovani e far loro scoprire il fascino della letteratura, della ricerca filosofica, l'importanza d'una profonda religiosità, dell'inserirsi nell'armonia delle cose come manifestazione d'una Volontà cosmica: invisibilia Dei per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur, ripeteva spesso con San Paolo. Tutto assumeva con lui un valore, tutto veniva illustrato da una luce nuova: e capitava così che chi aveva odiato il latino e il greco a scuola, ed era stato magari anche riprovato, diventava un fervente cultore di quelle materie, e imparava con lui a parlare nella lingua di Cicerone o di Platone; e percorreva le pagine di Spinoza o di Locke in latino per intavolare accese discussioni; o che chi non pensava mai d'indirizzare in questo senso la sua vita scoprisse un ardente interesse per le creature del mare, e si dedicasse a studiare delfini e altri cetacei; o che chi era destinato dalla famiglia ad occupare un bel posto sicuro alle poste e telegrafi abbandonasse tutto per iscriversi a filosofia, e poi si desse a tutt'uomo alla musica, e divenisse infine un affermato direttore d'orchestra addirittura in Germania. Questo era il Punzo: capace, come una torpedine, di produrre in chi gli stava vicino una scossa elettrica che poteva cambiare una vita; come un tafano, di svegliare col suo pungolo il cavallo dormiente. Araldo dell'anticonformismo, esortava alla libertà dal "così si dice" e dal "così si fa"; spingeva all'uso della ragione non disgiunto dalla coltivazione delle altre forze buone della biga dell'anima.  
           Instancabile e vulcanico organizzatore, instaurò un centro visite per accogliere le scolaresche campane, d'altre regioni d'Italia ed estere; e molte centinaia ne vennero negli anni della sua permanenza a Vivara; molti giovani rimanevano incantati dalla bellezza del posto, dalla singolare figura di questo vecchio eremita; e ritornavano; a volte divenivano assidui frequentatori. Il Punzo aveva trasportato sull'isola la sua ricchissima biblioteca, che aveva sistemato nelle sale della villa padronale prospicienti il castello d'Ischia; attrezzato il vecchio cantinone con sedie e illuminazione, non pochi furono i convegni, i seminari, gl'incontri, i concerti ch'egli organizzò, sempre solo a sue spese; continuò senza sosta a pubblicare articoli e saggi su argomenti che andavano dalla filosofia agli studi danteschi, dall'ornitologia a particolari visioni del protezionismo naturalistico, dall'educazione dei giovani all'impegno per una società più civile e più giusta. La rivista "Il Trifoglio" accolse la maggior parte di questi scritti; e contribuì non poco alla divulgazione delle bellezze naturalistiche di Vivara e alla sensibilizzazione di larghe fasce di popolazione rispetto ai problemi della sua salvaguardia.
           Naturalisti come Pellegrino Fimiani, Antonio Scaramella, Giuseppe Caputo, Ermenegildo Tremblay, Francesco Corbetta, Orfeo Picariello, Antonio Tranfaglia, Elio Abatino, Sofia Sica, Pietro Dohrn, Baldassarre De Lerma, i già ricordati Ugo Moncharmont e Isabella Lattes Coifmann e molti altri apprezzarono e stimarono il Punzo, che ebbero occasione di conoscere bene e frequentare anche a Vivara; altri furono più critici nei suoi confronti, a volte con toni fuori luogo che raggiunsero anche picchi di velenosa acrimonia che lo colpivano nel profondo. Ma nessuno poteva negare la sua dedizione, il suo amore infinito per la natura e le bellezze ch'essa dispiega, il suo spirito d'assoluto sacrificio in nome degl'ideali che professava, la sua onestà e sincerità nell'azione e nell'espressione del pensiero, lontano sempre da qualunque doppiezza o ipocrisia.
           Nel 1989 un fulmine distrusse tutta la linea che conduceva l'energia elettrica a Vivara. Con essa anche l'acqua corrente finì di scorrere dai rubinetti degli edifici, perché non più tirata su dalle pompe autoclavi. La Regione non ne volle sapere di effettuare le costose riparazioni, lanciando la palla alla proprietà, che a sua volta non aveva nessuna intenzione di spender soldi per un impianto elettrico su un'isola che non sfruttava per abitazione. Il povero Punzo tentò di tutto; ma non riuscì a persuadere nessuno. Fu così che dal 1989 le condizioni di vita su Vivara divennero assai più difficili; gli stessi ragazzi che affiancavano l'anziano professore sentivano fortissimo il disagio: per la luce ci s'arrangiava con lampade a gas; l'acqua s'andava a prendere alla fontanina dell'acquedotto piuttosto distante dagli edifici superiori, e si portava su con le taniche; poi, per fortuna, giunse il regalo d'un asinello da parte di Paolo Arciprete, e la quantità d'acqua che si riusciva a portare divenne considerevolmente più abbondante; con essa si riempivano grossi recipienti, che s'adoperavano per lavarsi e per cucinare. L'acqua era perlopiù fredda, e d'inverno andava riscaldata sul fuoco, prima di poter essere utilizzata per l'igiene personale. Sull'isola non c'era riscaldamento; il Punzo, pur potendo occupare le sale della villa padronale, aveva adattato a sua dimora un'antica stalletta di servizio, piccola e umida, più angusta d'una celletta monastica. La casa padronale doveva rimanere riservata alla biblioteca, alle esposizioni naturalistiche, all'artistica cappellina maiolicata del '600: non bisognava trasformarla in luogo d'abitazione. La situazione logistica e le difficoltà scoraggiavano i giovani e i giovanissimi; e non erano certo il meglio per un anziano ottantenne. Eppure lui era quello che si lamentava di meno; anzi era sempre pronto a trovare del buono, anche nelle avversità, nelle non certo confortevoli condizioni in cui si versava.
           Ma era altro a tormentare il Punzo: non la mancanza delle comodità della vita moderna. Ci fu chi cominciò a vilipendere tutto il suo sforzo, il suo sacrificio, il suo impegno. Chi lottava per estrometterlo da Vivara. A nulla valse il "Premio Mediterraneo" conferitogli da un'agenzia dell'ONU nel 1991, che tanta eco ebbe sugli organi di stampa; a nulla le altre non poche onorificenze che gli arrivavano da più parti. La lotta era sorda e sotterranea: il Punzo doveva essere eliminato. Così allo scadere del contratto di fitto, la Regione non rinnovò. I proprietari vennero sull'isola con l'ingiunzione di sfratto e non troppa buona creanza. Il Punzo resisteva; credeva ancora che alla fine un accordo tra Regione e proprietà ci sarebbe stato; non poteva, la Regione, mandare alla malora circa vent'anni di tutela. Ma la Regione non rinnovò; gli avvocati della proprietà andavano sul pesante; molti sedicenti protezionisti non sostennero "il professore di Vivara"; lui si sentì stanco, avvilito. Gli stavano ancora vicino le persone che lo avevano conosciuto davvero bene, che avevano visto cosa aveva nel cuore; ma questo non bastava a riparare i tetti delle case che cominciavano a perdere acqua, o a risanare gl'infissi malridotti. I debiti lo soffocavano, e non aveva più neanche case da vendere per farvi fronte. Alla fine anche il guerriero Punzo cedette. "Andiamocene, ragazzi; dicono che se me ne vado io, faranno grandi cose. Vedremo; speriamo che le faranno nel rispetto della Bellezza e animati da Amore. Per i giovani. Io sono vecchio, ormai." Così disse, un giorno. E andò via. Pagò persino le spese legali della causa che l'ospedale proprietario aveva impiantata contro il Trifoglio. Senza fiatare, senza chiasso. Non aveva neanche una casa dove andare ad abitare: fu ospite dei ragazzi ch'egli aveva formato, cresciuto, educato come un padre.
           Gli sviluppi successivi hanno dimostrato quanto la presenza del Punzo e del Trifoglio a Vivara fosse importante. Dopo tredici anni ancora dei grandi e faraonici progetti prospettati non s'è fatto niente; nel frattempo il coniglio nano s'è estinto, sterminato dalle orde dei bracconieri che hanno ripreso a frequentare l'isola quotidianamente; le querce sono state attaccate da una malattia che le ha fatte seccare quasi tutte, e non c'era nessuno che potesse intervenire ai primi sintomi; gli edifici superiori e la "casa del caporale" sono stati distrutti e ridotti a poco più che un ammasso di macerie; le maioliche della cappellina sono state divelte; imbecilli con velleità occultistico-sataniche hanno fatto del luogo la loro meta preferita. Frane e strani e costosissimi interventi di "consolidamento dei costoni" hanno per sempre modificato (in peggio) il profilo dell'isola. Manca solo un incendio, e il quadro sarà completo.  
           Il Punzo visse alcuni mesi in Abruzzo, circondato da alcuni dei discepoli più  vicini; poi poté prendere in affitto una villetta al Villaggio di Pinetamare a Castelvolturno, dove uno dei già ragazzi del Trifoglio possedeva un maneggio. Anche lì tentò, non senza successo, di continuare le sue attività educative con gruppi di giovani; ricreò un campo hebertiano; risistemò la biblioteca. Si trasferì poi a Montella, sui monti dell'Irpinia, in mezzo a verdi boschi e magnifiche cascate. Lì visse, se si eccettua una parentesi di qualche anno in cui ritornò a Castelvolturno, dal 1995 al 2005. Ancora fece qualche miracolo, come quello di portare un giovanissimo ragazzo albanese culturalmente assai deprivato, venuto clandestinamente in Italia per procurarsi un pur minimo guadagno da mandare a casa,  a un tale interesse per la formazione culturale, da spingerlo ad affrontare un percorso da privatista al liceo classico, farglielo superare con ottimi risultati in soli tre anni, e farlo poi iscrivere all'università, dove oggi miete successi continui. L'ultimo discepolo di Punzo, l'ultimo toccato dalla torpedine, risvegliato dal pungente tafano.
           Un blocco renale è stato probabilmente la causa prossima della fine di Giorgio Punzo. Stava male da alcuni giorni; non aveva più una precisa percezione del ritmo del giorno e della notte; la circolazione sanguigna non funzionava più bene. Quando la situazione precipitò, era una giornata fredda di neve alta che continuava a cadere; anche l'ambulanza ebbe difficoltà ad arrivare. Fu portato all'ospedale di Avellino, e, dopo una notte in coma, a quello di Monteforte irpino; lì apparve che non c'era più niente da fare; morì la notte tra il 28 febbraio e il primo marzo, portato a Napoli da chi gli stava vicino.
           La sua scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile. La speranza è che la sua vita, il suo impegno per Vivara, per la difesa della natura e per l'educazione dei giovani non vada perduto.   


[1] A. Ruffo, Uomo religioso, filosofo e naturalista
, in "Il Denaro", a. XV, n. 45, 5 marzo 2005.
[2] D. Viggiani, I tempi di Posillipo
, Electa Napoli, Napoli 1989, p. 141.
[3] G. Punzo, Cronologia della mia vita
, 18 marzo 1957.
[4] Precisamente: Istituto tecnico femminile "Elena di Savoia" – Napoli (1957-1959); Istituto tecnico "Alessandro Volta" - Torre Annunziata (1959-1960); Istituto tecnico "Pantaleo" – Torre del Greco (1960-1962); Istituto tecnico femminile "Vittorio Emanuele" – Napoli (1962-1969); Liceo "V. Cuoco" e "G. Galilei" – Napoli (1969-1970).  
[5] G. Punzo, Cronologia della mia vita
, 13 marzo 1957.

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