Associazione Vivara APS - amici delle piccole isole
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Cenni storici

VIVARA APPROFONDIMENTI



CENNI   STORICI

(la presistora e la storia)




  



     Vivara la torre borbonica


                                                                                                               


La Preistoria di Vivara



I recenti scavi archeologici hanno messo in luce una presenza umana a Vivara addirittura dell’età del bronzo ; ma dopo queste testimonianze manca qualsiasi notizia storica fino al 1600, salvo il ritrovamento di alcune tegole di un tempo arcaico ascrivibile al VI sec. A.C..
Gli scavi effettuati portano fino al XVI XIII sec. A.C. mettendo in luce infiltrazioni micenee e pre-micenee, ma in effetti sappiamo solo che queste popolazioni marittime bazzicavano un po’ dappertutto nel Mediterraneo e quindi avevano approdato anche qui .
Tutto lascia pensare però che a quell’epoca Vivara come isola singola non esisteva ; o esisteva il sistema Vivara- Santa Margherita come cratere ancora non congiunto a Procida o addirittura tutto era unito con Procida, infatti passando sul ponte si nota chiaramente che il mare è bassissimo. E’ da supporre pertanto che quindici secoli fa si passava e quindi gli scavi fatti qui sono in effetti quelli di Procida nel punto più vicino a Ischia, tant’è vero che i ritrovamenti sono avvenuti verso punta d’Alaca a occidente dell’isolotto di Vivara.

L’interesse per la preistoria di Vivara nasce nel 1937, quando l’archeologo Giorgio Buchner, lavorando alla sua tesi di laurea, Vita e dimora delle isole flegree, rinvenne, durante i lavori di scavo nella parte settentrionale dell’isola, a punta Capitello (e contemporaneamente nel sito di Castiglione d’Ischia), le prime testimonianze di ceramica micenea sul versante tirrenico d’Italia.

Dal 1976 in poi altre campagne di scavo a Vivara, dirette dal professor Massimiliano Marazzi e dal professor Sebastiano Tusa, allora ricercatori presso l'Università “La Sapienza” di Roma, hanno permesso l’individuazione di ben tre insediamenti in una superficie così ridotta: punta Mezzogiorno a sud, punta d’Alaca nella parte occidentale che si eleva sul mare raggiungendo il punto più alto dell’isolotto, e punta Capitello a nord.
Come si svolgesse la vita a Vivara in epoca preistorica non è facile dirlo con certezza.
A differenza delle colonie greche d’età arcaica che s’impiantarono in tutta l’Italia meridionale tra l’VIII e il VII secolo a.C., sembra che i micenei, almeno all’inizio, non avessero un piano preciso d’espansione, né volessero cancellare le presenze indigene e i modi di vita autoctoni per sostituirli coi propri: dal materiale ritrovato a Vivara si può facilmente constatare che micenei e indigeni convivevano pacificamente, godendo d’un reciproco arricchimento culturale e d’uno scambio di tecniche artigianali e costruttive. Per esempio, s’è trovata una gran quantità d’oggetti di ceramica importata, sia finemente lavorata e dipinta, sia d’uso domestico; molti oggetti in argilla locale sono stati lavorati al tornio, strumento importato dai micenei; la copertura d’alcune capanne è tipicamente egea, ma fatta con tegole in tufo locale, probabilmente fornite da artigiani del posto. I metalli erano importati (in Campania non ci sono infatti giacimenti metalliferi), fusi e modellati a Vivara, a dimostrazione che l’isolotto, all’epoca punta estrema di Procida protesa verso Ischia, fungeva da scalo marittimo in cui si svolgeva un intenso scambio di beni e di tecniche.

La ristretta comunità indigena vivarese e gl’“immigrati” micenei verosimilmente vivevano fianco a fianco in un fervore pacifico e costruttivo di scambi e d’attività. Per Vivara, quindi, non si può parlare assolutamente di “colonia micenea”, ma il suo territorio limitato e circondato dal mare che ha da sempre rappresentato una via di salvezza, fu inserito nella rete di contatti e scambi marittimi dell’Italia meridionale della tarda età del Bronzo, all’interno della quale trovarono spazio le genti egee. Vivara costituiva un nodo strategico intermedio tra le coste centro-tirreniche e i centri maggiori dell’età del Bronzo situati in larga misura nelle isole Eolie. Le Eolie, la Sicilia e l’arcipelago flegreo rappresentarono, dunque, i punti chiave per il primo affacciarsi dei micenei in Italia.

Naturalmente, la storia di Vivara va inserita all’interno della contemporanea storia dell’Italia peninsulare e insulare: i ritrovamenti archeologici dei tre punti di scavo dell’isolotto sono per questo molto interessanti, perché possono esser riferiti a momenti diversi dell’età del Bronzo; e il fatto che ceramiche micenee (la cui datazione certa si ricava da ceramiche simili reperite nei siti egei) e manufatti locali si ritrovino insieme, aiuta gli studiosi a stabilire una pressoché sicura cronologia non solo delle fasi dell’insediamento vivarese, ma anche di altri siti preistorici, attraverso il confronto con materiali coevi trovati anche altrove in Italia. Per queste caratteristiche affini si è parlato addirittura di una koinè, cioè d’una cultura comune marinara.
Dal XIV secolo a.C. gli interessi dei micenei si spostarono in maniera preponderante verso la Puglia ionica e adriatica, e gli insediamenti di Vivara, che già s’erano concentrati in una porzione marginale dell’isola, nella parte settentrionale, dove gli archeologi hanno constatato una riduzione drastica di ceramiche micenee, muoiono definitivamente.
La storia di Vivara si conclude, dunque, con l’innescarsi di nuove dinamiche di potere, nuove esigenze e interessi, in seguito ai quali l’isolotto, ben difendibile solo da Punta d’Alaca, con una pianura così circoscritta, le limitate risorse sia alimentari che boschive (che cominciarono a scarseggiare, se non ad esaurirsi completamente dopo due secoli di sfruttamento), non sarà più abitato, diventando poi riserva di caccia fino al 1600.



Il ponte di Vivara


La Storia



Dopo le testimonianze della presenza micenea a Vivara, manca qualsiasi notizia storica fino al 1600, salvo il ritrovamento di alcune tegole di un tempio arcaico ascrivibile al VI secolo a.C.
I romani consideravano Vivara un luogo di caccia e le acque del Golfo di Gènito, all’interno del cratere, un vivaio di pesci. Il cratere, infatti, all’epoca più alto
di oggi e quindi quasi del tutto chiuso, isolava dal mare un grosso bacino d’acqua. Da qui deriva il nome Vivarium, divenuto poi, probabilmente Vivario; Vivaro compare per la prima volta nei documenti storici del XIV secolo, e infine Vivara. Nel 1634 vi si andava a caccia, specialmente degli animali fàttivi introdurre
dalle Calabrie circa un secolo prima da Alfonso d'Avalos d'Aragona; in quegli stessi anni si cominciò a mettere a coltura l'isoletta pur continuandovi l'esercizio venatorio.
Il Duca di Bovino Giovanni Guevara vi andava a caccia dalla vicina Ischia; sembra dovuta a sua iniziativa la costruzione, sul punto più alto di Vivara, della villa e degli edifici colonici, datati 1681. Con l'avvento di Carlo III di Borbone al trono di Napoli, nella seconda metà del Settecento, Vivara è nuovamente destinata esclusivamente alla caccia. È in questi decenni che viene costruita la Casa del Caporale, al cancello d’ingresso dell’isola, pare con l’autorizzazione del re, dal caporale della guardia del corpo di Carlo III, che nel congedarsi da questo suo ufficio, chiese il favore al re di costruirsi questa casetta. È di questo periodo probabilmente anche la torre nei pressi degli edifici superiori; forse essa era usata come postazione di caccia, il cosiddetto pulpito (foto in alto) che usano a Procida per la caccia alle tortore.
Non minore fu lo zelo venatorio del nuovo re, Ferdinando IV, profondamente turbato però dalle note vicende storiche che lo costrinsero a fuggire in Sicilia, in seguito all'insediamento dei napoleonici a Napoli. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, Vivara, a causa della sua felice posizione strategica, divenne allora un avamposto militare sul mare, dove i francesi costruirono anche due fortini adibiti a postazione per batteria di cannoni, allo scopo di prevenire tentativi di sbarco dei legittimisti borbonici asserragliati a Ponza e Ventotene. I fortini, in parte smantellati poi dagli inglesi, sono ancora visibili oggi a nord e all’estremo sud dell’isola.

Nel 1818 Vivara è ceduta come demanio pubblico al Comune di Procida che nel 1833 la cede in affitto perché sia coltivata; s’inizia così la grande trasformazione del verde dell'isola, che viene per circa due terzi distrutto e sostituito con vigneti e oliveti, in seguito a grossi lavori di terrazzamento.
Nei primi decenni del 1900 viene costruita sul pianoro sommitale dell’isola una serie di nuovi edifici, tra i quali la cosiddetta Vaccheria e la Carcara, fornace dove veniva ricavata la calce; vengono risistemati alcuni ambienti della Casa padronale per la produzione del vino e dell’olio e viene creato un sistema di cisterne sotterranee collegate con tre pozzi e con un sistema di raccolta delle acque piovane.
A due architetti inglesi dell'inizio del 1900 è da attribuire la costruzione della Tavola del re, l'edificio posto a sud dell’isola.
Il ponte, oggi di proprietà dell’acquedotto campano, è stato costruito nel 1957 dalla Cassa per il Mezzogiorno per convogliare l’acqua dalla terraferma a Ischia. Al suo interno ci sono le tubazioni, che, seguendo un percorso sotterraneo lungo il sentiero principale dell’isola, proseguono poi verso Ischia per vie sottomarine.

I fratelli Biagio e Domenico Scotto La Chianca, gli ultimi proprietari privati, gestirono Vivara come azienda agricola fino agli anni trenta. Alla morte di questi ultimi, l'isola nel 1940 divenne per lascito proprietà dell'Ospedale Civico di Procida Albano Francescano, Ente di assistenza e beneficenza, che ha tentato ripetutamente di darla in affitto ad aziende agricole, con esito però costantemente fallimentare. L'Ente proprietario, nel 1972, era sul punto di accogliere la proposta della “Vacamar”, una società specializzata nell'organizzazione di villaggi per vacanze marine per un’utilizzazione turistica del territorio. Ma contro una tale idea insorsero le associazioni ambientaliste (WWF e Comitato Giuridico Ecologico) le quali ottennero che la Regione Campania prendesse in affitto l'isoletta in pericolo, per farne un luogo di tutela e un centro di osservazioni naturalistiche. Nel 1974 Vivara fu dichiarata “Oasi di protezione naturale”, con decreto del Presidente della Giunta Regionale (n. 609 del 10 maggio 1974). Dal 1979, inoltre, l’intero territorio è sottoposto al vincolo archeologico. Nel 1977 fu stipulata una convenzione tra l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Campania e l’Unione Trifoglio, un’associazione naturalistica con intenti educativi, che per 16 anni, cioè fino al 1993, ha svolto sull’isolotto, volontariamente e gratuitamente, opera di guardianìa, salvaguardia ed educazione dei giovani.

Biotopo di rilevante interesse nazionale, ampiamente documentato da numerosi contributi scientifici, Vivara è stata individuata dalla Regione Campania, nell'ambito del programma comunitario «Natura 2000» e del relativo progetto italiano «Bioitaly», tra i S.I.C. – Siti di Importanza Comunitaria, secondo i princìpi contenuti nelle Direttive CEE /79/409/CEE “UCCELLI” e 92/43/CEE “HABITAT”. Con decreto del Ministero dell’Ambiente del 24 giugno 2002, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 225 del 25 settembre dello stesso anno, l’isola di Vivara è diventata Riserva Naturale Statale.  
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